Vene vanitose: i confini fra estetica e patologia

Dott. Estephan Fares

Dott. Estephan Fares

La malattia venosa cronica è stata oggetto dai tempi antichi , di attenzioni non solamente di ordine clinico ma anche estetico.

Con “estetica”, dal greco “aisthetikos” a sua volta derivante da “ aisthanomai” ovvero apparire, s’ intende l’insieme dei fattori richiesti ed accettati dal gusto e dal sentimento del bello.

Il termine safena , dal greco ”saphès”, significa evidente, apparente, visibile dunque vanitoso. Questa terminologia orienta l’interesse verso una patologia immediatamente e facilmente constatabile con la semplice osservazione degli arti inferiori e soggetta quindi anche a giudizio estetico ed a confronto ( P.Bonadeo).

Rivisitando la storia della malattia venosa cronica vediamo che c’è stata sempre attenzione sia alla patologia sia all’aspetto estetico.

Ippocrate riferendosi ad una varicoflebite , raccomandava di evacuare il “ sangue” e concepiva l’inestetismo come un segno di malattia ovvero come distorsione della normalità.

Il condottiero romano Caio Mario si fece cauterizzare le sue vene varicose da Aulus Cornelius Celsus, poiché contrariato da tale deformità che lo costringeva ad indossare lunghe e scomode tuniche anziché la corta e pratica uniforme militare, condizionando altresi la sua vita di relazione; Cicerone invece, portatore anche essi di orribili varici, non si fece operare ma allungò la toga senatoriale .

Nel precedente secolo abbiamo assistito ad un incremento d’interesse nella cura della malattia venosa cronica dovuta a due fattori principali: il primo, secondario al miglioramento delle tecniche diagnostiche e chirurgiche ed il secondo, invece, all’emancipazione della donna nel dopo guerra .

Fattore rilevante nella diffusione della terapia dell’insufficienza venosa e’ stato lo sviluppo di nuove tecniche, negli ultimi quaranta anni infatti , grazie anche al miglioramento dei mezzi diagnostici e terapeutici (eco color Doppler di ultima generazione, flebografia, angio-tomografia computerizzata, sclero mousse, laser, etc.), sono stati messi a punto trattamenti sempre meno invasivi passando dal “ taglio grande, grande chirurgo” concetto diffuso dei primi del 900 alla chirurgia mini invasiva delle varici introdotta dal medico svizzero Robert Muller che, nel 1986 , insieme al dott Baci scriveva “il faut, guerir, sans danger , en les embellissant, les variqueux de toutes les conditions sociales ”               ( guarire, senza pericolo , rendendo belle le donne varicose di tutte le classe sociali).

Con l’emancipazione femminile dagli anni sessanta registriamo una crescente richiesta di trattamenti con finalità estetiche in generale a conferma di un crescente interesse in questo campo.

 

La terapia delle varici e delle teleangectasie (capillari) rientra in tale ambito, generando talora persino confusione nei pazienti che intendono il trattamento delle varici come prettamente estetico, la confusione in realtà viene alimentata principalmente da noi professionisti, che, grazie ai media, offriamo, senza avvalerci talora di alcun tipo di filtro, servizi che promuovono la cura delle varici alla stregua di un trattamento estetico, dimenticando fin troppo spesso che tale terapia e’ rivolta soprattutto alla cura della patologia rappresentata dall’insufficienza venosa cronica e non dalla mera correzione dell’epifenomeno della varice visibile.

I pazienti giungono alla nostra osservazione motivati prevalentemente dal problema estetico, sono comunque per la maggior parte sintomatici, sono attratti dalle nuove tecnologie non invasive di cui hanno una conoscenza parziale e spesso distorta dai media, non amano le procedure invasive, non tollerano il dolore, non prendono in considerazione eventuali complicanze, hanno scarsa tolleranza per le discromie cutanee transitorie post trattamento e per il tempo di latenza necessario affinché i risultati post-trattamento siano visibili, cambiano professionista pensando che il successivo sia migliore.

Risulta evidente che negli ultimi anni la richiesta di trattamenti estetici sia aumentata in modo considerevole, tra questi la terapia delle varici e degli inestetismi capillari riveste un ruolo centrale.

Tale consistente richiesta è giustificata dal fatto che la patologia varicosa è principalmente una alterazione superficiale e visibile quindi soggetta a scarsa tolleranza non solo dal punto di vista clinico ma anche da quello estetico. La maggiore parte dei pazienti infatti sono stati motivati da esigenze di tipo estetico benché, se interrogati, risultassero sintomatici.

Da tale evidenza ci poniamo il quesito: esiste un confine fra estetica e patologia ?

Per rispondere è in primo luogo necessario definire il concetto di vena varicosa.

Riferendoci alla definizione fisiopatologica di Bassi: “ una vena varicosa è una vena permanentemente dilatata con valvole incompetenti e lesioni degenerative della parete venosa comportanti una circolazione venosa anomala”.

La classificazione CEAP dell’ American Venous Forum 1994 ( clinica, eziologia, anatomia, fisiopatologia) , universalmente riconosciuta, rivisitata nel 2004 , classifica la patologia varicosa in sei stadi clinici che iniziano con l’ectasia capillare e terminano con le ulcere varicose.

CLASSIFICAZIONE CLINICA  CEAP

 

1° Stadio               capillari o vene reticolari

2° Stadio               varici

3° Stadio               edema

4° Stadio             discromia cutanea, eczema, atrofia

5° Stadio             ulcere cicatrizzate

6° Stadio             ulcere attive

Allora risulta chiaro che quando trattiamo capillari, teleangectasie o varici siamo di fronte ai primi due stadi di una patologia evolutiva nel tempo che potrà evolvere negli stadi successivi manifestandone i relativi segni e sintomi clinici. Tale eventuale evoluzione comporterà successive necessità di trattamenti impegnativi ed onerosi per il sistema sanitario e per il paziente stesso.

 

Di fronte a tali evidenze è lecito quindi affermare che, malgrado nella mentalità comune e talora anche nella concezione del personale sanitario (colleghi medici, amministratori , ecc), varice sia sinonimo di vanità , estetica , superficialità e superfluo in realtà la terapia della patologia varicosa è e rimane inserito comunque nell’ambito dei LEA “livelli essenziali di assistenza” e conseguentemente le varici, benché considerate dai pazienti come problema principalmente estetico, sono l’espressione di una patologia evolutiva nel tempo con conseguente importante peso nella spesa sanitaria.

Non c’è dubbio che urge chiarezza su chi deve fare cosa e, soprattutto come debba farlo al fine di poter fornire all’utente un percorso terapeutico codificato che, benchè spesso motivato da finalità estetiche, presupponga comunque il controllo e la gestione di una patologia di base reale ed evolutiva.

L’American Venous Forum nel 2004 ha parzialmente contribuito a questa necessità di chiarezza codificando tutte le manifestazioni dell’insufficienza venosa inserendoli nell’ambito di una classificazione dei disturbi venosi cronici (C0-C6) inquadrando come malattia venosa cronica primaria (C0-C2) le prime manifestazioni della patologia e come insufficienza venosa cronica (C3-C6) le manifestazioni avanzate della malattia dall’edema alle discromie fino all’ulcera cutanea.

Basandosi su questa classificazione è possibile definire percorsi terapeutici appropriati in base allo stadio della malattia comunicando in modo esaustivo con il paziente riguardo le sue aspettative, le nostre proposte terapeutiche e le possibilità di successo prima dell’ approccio terapeutico.                                         Non si deve comunque sottovalutare il fatto che anche la terapia dei primi stadi come la sclerosi delle teleangectasie, benché fornisca principalmente un beneficio estetico, comporta comunque la riduzione della sintomatologia del paziente e l’instaurazione di un rapporto terapeutico con il professionista che prende in carico la patologia sin dagli stadi iniziali con conseguente correzione dei fattori di rischio e rallentamento o comunque contenimento dell’evolutività della problematica venosa .

Anche nell’ambito della cura di un ulcera varicosa, benché l’aspetto di patologico sia dominante, trova comunque spazio anche l’aspetto estetico, pur se in misura limitata, tale discorso è estendibile a tutti gli stadi intermedi della patologia.

Un ultimo fondamentale aspetto è rappresentato dalla formazione dello specialista che s’incarica di effettuare terapia dell’insufficienza venosa. Negli ultimi anni si ha la percezione che non esistano più competenze individuali che presuppongono esperienza e formazione, è facilmente constatabile che spesso ci si approccia a determinati terapie senza avere le adeguate ed indispensabili conoscenze di base dell’argomento perché si inquadrano problematiche vascolari venose come di pertinenza meramente estetica valutandone il solo epifenomeno visibile ed ignorando tutto il quadro di alterazione fisiopatologica evolutiva che esse presuppongono senza dimenticare le interazioni dell’insufficienza venosa con alcune manifestazioni cliniche che vanno dalla PEFS( cellulite) agli edemi, ai lipo-edemi, alle alterazioni della postura , ai problemi ormonali. Da tale quadro risulta pertanto chiaro che è necessaria una specifica ed approfondita formazione per l’approccio terapeutico all’insufficienza venosa.

Conclusioni

 

        Dalla nostra ricerca ma soprattutto dalla pratica clinica quotidiana, possiamo evincere che la richiesta di trattamento estetico agli arti inferiori è in forte crescita; sappiamo che il problema non è sola pertinenza estetica ma che alla base esiste una patologia evolutiva che presuppone un ventaglio di manifestazioni differenti. Il suo trattamento pertanto non può limitarsi ad una sclerosi di un capillare o l’estirpazione di una varice ma deve considerare il problema dal punto di vista fisiopatologico correggendone, ove possibile, le dinamiche.                                                                                                         Ulteriore aspetto da considerare inoltre è che la terapia di questa patologia può comportare complicanze minori e complicanze maggiori , addirittura mortali; esiste pertanto la necessità di creare chiari percorsi diagnostico-terapeutici e definire all’interno di questi se esista la prevalenza di richiesta estetica o di cura dell’aspetto clinico della patologia, aderendo il più possibile alle linee guida nazionali ed internazionali, senza dimenticare un aspetto fondamentale quale l’imprescindibile necessità di una adeguata formazione.

 

Dr Estephan Fares